20 gennaio 2012

Corte di Cassazione, 13 gennaio 2012, n. 912 detenzione di sostanze stupefacenti: l'elevata quantità di droga non basta ad escludere l’uso personale


Prima di procedere all’esame della sentenza della Corte di Cassazione n. 912 del 13 gennaio 2012, è necessario formulare una breve premessa.
In materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, l’art. 73 del D.P.R. n. 309/90 (c.d. legge sugli stupefacenti), così come novellato a seguito delle abrogazioni disposte con D.P.R. n. 171 del 1993, prevede la non punibilità della detenzione per uso personale, che oggi integra esclusivamente un illecito amministrativo. Giova precisare che, nella struttura della fattispecie delittuosa, l’uso personale non costituisce una causa di giustificazione, idoneo a scriminare una condotta che si è perfezionata sotto il profilo oggettivo e soggettivo, ma, al contrario, rappresenta elemento negativo della condotta.
Da ciò discende una rilevante conseguenza sul regime più strettamente probatorio, in quanto l’onere della prova della finalità non personale della detenzione grava sull’accusa e non sull’imputato.
Ciò detto, quali sono gli elementi fattuali che possono condurre al riconoscimento dell’attività di spaccio?
Il giudice deve tener conto di ogni circostanza che si riveli utile, in concreto, a dimostrare o a escludere che l’imputato abbia in tutto o in parte, destinato allo spaccio la sostanza stupefacente di cui è in possesso. Tuttavia, a titolo meramente indicativo potremmo dire che elementi “rivelatori” sono:
- l’eventuale stato di tossicodipendenza dell’imputato e il suo grado;
- il contesto ambientale e familiare in cui vive l’imputato ed eventuali rapporti con soggetti implicati in reati in materia di stupefacenti;
- il compimento pregresso di fatti rivelatori di una propensione allo spaccio;
- la capacità reddituale dell’imputato in rapporto alla quantità e qualità dello stupefacente detenuto;
- la quantità e qualità dello stupefacente detenuto in rapporto alle esigenze personali dell’imputato;
- le modalità della custodia e del frazionamento della sostanza;
- il rinvenimento di strumenti idonei al taglio, alla pesatura o al confezionamento.
Applicando i succitati criteri, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 912, depositata il 13 gennaio 2012, ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare disposta nei confronti di un soggetto trovato in possesso di 500 grammi di hashish. Secondo la Corte, la finalità di spaccio non può essere automaticamente e aprioristicamente desunta dalla seppur elevata quantità di sostanza stupefacente rinvenuta; circostanza questa che, pur essendo rivelatrice di una possibile detenzione ai fini di spaccio, deve in ogni caso essere  letta nel più ampio contesto probatorio, congiuntamente alle altre risultanze eventualmente acquisite.
Nella specie, sia il G.I.P. che il Tribunale del Riesame, limitandosi a valorizzare il dato meramente quantitativo, non avevano tenuto conto di tutta una serie di elementi: l’ hashish non era frazionata in dosi, nell’abitazione dell’imputato non vi erano strumenti idonei al taglio o alla pesatura, lo stesso sosteneva di aver acquistato quella quantità perché più conveniente, l’involucro di hashish combaciava perfettamente con altro (del peso di circa 3,7 Kg) rinvenuto nell’abitazione del presunto venditore.
   
Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza del 13 gennaio 2012, n. 912
 
Sentito il P.M. nella persona del P.G. dr. Pietro Gaeta, che ha chiesto una declaratoria di annullamento con rinvio in accoglimento del primo motivo di ricorso;
Osserva
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso
L’ordinanza oggetto del presente ricorso ha confermato il provvedimento del G.i.p. con cui era stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti dell’odierno ricorrente accusato di avere detenuto 500 gr. di hashish per uso non esclusivamente personale.
Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite il difensore deducendo:
1) erronea applicazione dell’art. 73 T.U. 309/90 e dell’art. 273 c.p.p. nonché mancanza di motivazione (art. 606 lett b) ed e) c.p.p.). Ciò, in quanto la destinazione allo spaccio deve essere provata dall’accusa e, sotto tale profilo, né il G.i.p. né il Tribunale per il Riesame avrebbero motivato adeguatamente. Tale finalità è stata, infatti, desunta dal dato ponderale che è stato ritenuto, per così dire, auto evidente al punto da trascurare di motivare ulteriormente su altri aspetti. In particolare, la difesa dell’indagato - che aveva da subito ammesso di avere acquistato droga da tale R. richiama l’attenzione sul fatto che l’involucro sequestrato al D. combaciava perfettamente con l’altro involucro trovato nell’abitazione di R. In ogni caso, perciò, la droga era confezionata in un unico involucro, manca qualsiasi rinvenimento di sostanza da taglio o di strumenti idonei alla pesatura. Inoltre, visto che il ricorrente si è dichiarato da subito tossicofilo ed ha spiegato di avere acquistato quel quantitativo perché più conveniente, non risulta essere stata fatta alcuna indagine sulle disponibilità patrimoniali né sulle condizioni soggettive del D.
2) violazione di legge e carenza di motivazione (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. in rel. agli artt. 274 e 275 c.p.p.) in quanto anche sotto il profilo delle esigenze cautelari si registrerebbe una motivazione apparente, generica (perché sostenuta in pari misura per i due indagati, nonostante la diversità di posizione) e, per di più, frutto di una doppia valutazione sempre dello stesso dato, la asserita gravità del fatto, Iaddove diverso è il caso di chi detenga 500 gr. di droga appena comprata e chi ne abbia kg. 3,700 a casa). Anche in punto di adeguatezza della misura, la motivazione è solo formale perché lo stesso accenno all’unico precedente per violazione dell’art. 650 c.p. (con la conclusione che esso testimonia una tendenza alla inosservanza delle regole) non è decisivo. Ed infatti, si fa notare che l’assunto è solo astrattamente valido in quanto la circostanza che taluno sia stato condannato per violazione dell’art. 650 c.p. per non avere, ad esempio, ottemperato all’invito impostogli di esibire la patente non autorizza a ritenere che non sarebbe in grado di rispettare gli obblighi connessi con un regime di arresti domiciliari.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
2. Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Le censure che esso muove sono infatti, puntuali e pertinenti e, soprattutto, pongono l’accento sul vizio motivazionale di fondo del provvedimento che è assertivo e meramente ripetitivo dell’ordinanza del G.i.p. senza replica alle obiezioni mosse con il ricorso al Tribunale per il Riesame.
In particolare, nell’ordinanza impugnata, si riscontra una inosservanza dei criteri che sono stati ripetutamente indicati da questa S.C. in tema di valutazione della destinazione della droga (se, cioè, a fine d’uso personale o di cessione a terzi). E’ stato, infatti, asserito anche abbastanza di recente (Sez. VI 19.4.00, D’I., n. 6282) che ogni qualvolta la condotta dell’agente non appaia indicare l’immediatezza del consumo, la verifica di tale ipotesi è effettuata dal giudice di merito tenendo conto di una pluralità di parametri, come la quantità, la qualità e la composizione della sostanza, anche in rapporto al reddito del detentore e del suo nucleo familiare nonché la disponibilità di attrezzature per la pesatura o il confezionamento della sostanza oltre che, sulla base delle concrete circostanze del caso.
Ciò non risulta essere avvento nella specie ove si è valorizzato esclusivamente il dato ponderale prescindendo anche da una più attenta considerazione delle peculiarità del caso come, ad esempio, le circostanze di rinvenimento della droga, pur documentate in modo dettagliato dal servizio di osservazione della p.g. e dalle risultanze di perquisizioni e sequestro (non solo al D. ma anche a quello che verosimilmente era stato il cedente della droga a lui rinvenuta).
Sorvolando, poi, sull’assenza di qualsivoglia riscontro investigativo circa le disponibilità dell’indagato (e, quindi, la compatibilità con l’ipotesi della “scorta”), il Tribunale si è limitato a replicare che la quantità era “troppa per un uso personale”.
Né vale obiettare che la tesi difensiva sia stata, a sua volta, meramente asserita perché è noto che compete all’accusa dimostrare la finalità di spaccio.
In altri termini, la destinazione della droga al fine di cessione deve, quindi, essere argomentata facendo riferimento ad elementi oggettivi univoci e significativi tra i quali rientra senza dubbio il quantitativo della droga sequestrata ma unitamente ad altri dati quali, ad esempio, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizza per il confezionamento delle dosi (bilancino, cartine. ecc.) la ripartizione in dosi singole pronte per la distribuzione, le modalità di detenzione della droga (Sez. VI 1.4.03. G.; Sez. VI, 13.11.08, P. Rv. 241164). E’ stato, infatti, anche precisato (Sez VI. 2.4.08. S., Rv. 240526) che il semplice superamento dei limiti quantitativi massimi consentiti per la detenzione a fini personali non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, o ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure non assoluta, in ordine alla destinazione della droga. AI contrario, si impone, per il giudice un dovere accentuato di motivazione nella valutazione del parametro della “quantità”.
La inadeguatezza della motivazione in punto di gravi indizi, si ripropone anche per quanto attiene alla valutazione delle esigenze cautelari e della misura più appropriata.
Sotto il primo aspetto, é senza dubbio censurabile - come sottolinea il ricorrente - il fatto che il Tribunale abbia accomunato nel medesimo giudizio chi, come il D., deteneva 500 gr. di stupefacente e chi, invece, ne deteneva kg. 3,700 (senza tralasciare di considerare anche le differenti modalità di detenzione: per iI D. praticamente per strada ed in un momento in cui risultava avere appena acquistato, per l’altro, custodita in casa, in vari locali). Tra l’altro, lo stesso Tribunale per il Riesame dà per scontato che la droga detenuta da D. provenisse dall’involucro sequestrato presso il garage dell’altro indagato, R.
Ugualmente giustificate e logiche appaiono le considerazioni critiche che il ricorrente muove, nel secondo motivo, alla motivazione dell’ordinanza impugnata per quel che attiene alla scelta della misura non potendo certo apparire “dirimente”, ai fini della esclusione di un regime meno afflittivo di arresti domiciliari, la sottolineatura del precedente per violazione dell’art. 650 c.p.
In buona sintesi, tutti i parametri di valutazione che i giudici di merito avrebbero dovuto prendere in considerazione sono stati sostanzialmente ignorati e ciò rende il provvedimento impugnato sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della mancanza di motivazione. Essa deve, infatti, ravvisarsi anche in casi, come quello in esame, in cui l’organo di impugnazione adito si è sottratto al proprio dovere di controllo dell’ordinanza oggetto di ricorso, limitandosi a ribadire puramente e semplicemente le argomentazioni del G.i.p. ed ignorando le opposte obiezioni della difesa dell’indagato che richiamavano l’attenzione sulla necessità di tener conto altri dati per una valutazione più completa ed approfondita.
Si impone, quindi, un annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo esame alla luce dei rilievi critici fin qui svolti.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e 55. C.p.p. annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo giudizio Visto l’art. 94 co. 1 ter disp. atto c.p.p. ordina che a cura della cancelleria, sia trasmessa copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario competente per gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1 bis disp. att. c.p.p .
Depositata in Cancelleria il 13.01.2012

Nessun commento:

Posta un commento