28 gennaio 2012

Corte di Cassazione, 30 dicembre 2011, n. 30652 citazione in appello: la mancanza dell'avvertimento ex art. 163, terzo comma, n. 7 c.p.c. non causa automaticamente la nullità dell’impugnazione


La sentenza della Corte di Cassazione n. 30652, depositata il 30 dicembre 2011, ponendosi in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale più consolidato, ha affermato che l’omesso avvertimento all’appellato, nell’atto di citazione in appello, delle conseguenze derivanti dalla costituzione tardiva (art. 163, terzo comma, n. 7 c.p.c.) non determina automaticamente un “error in procedendo” sanzionato da nullità del procedimento di impugnazione, col conseguente rinvio per la rinnovazione, qualora l’atto sia notificato al procuratore costituito in primo grado e la parte contumace non sia in grado di indicare quale pregiudizio al proprio diritto di difesa sia derivato da tale omissione.

Così decidendo, la Cassazione ha rigettato il ricorso, presentato dalla parte contumace in appello, con il quale la stessa denunciava la nullità della sentenza e del procedimento per mancanza, nell’atto di citazione notificato al procuratore costituito in primo grado, dell’avvertimento relativo alle conseguenze della costituzione tardiva.
Per comprendere l’iter logico seguito dalla Corte nella sentenza n. 30652/2011, è necessario procedere per gradi.

In forza dell’art. 359 c.p.c., nel procedimento d’appello davanti al Tribunale o alla Corte si osservano le norme dettate per il procedimento di primo grado innanzi al Tribunale, compatibilmente con le particolari esigenze del processo di secondo grado e con le disposizioni speciali ad esso dedicate.

L’atto introduttivo del primo grado, come sappiamo, deve contenere tutti gli elementi previsti dall’art. 163 c.p.c., tra cui gli avvertimenti al convenuto, che sono:

- invito a comparire all’udienza indicata;
- invito al convenuto a costituirsi nel termine di 20 giorni prima dell’udienza, con l’espressa avvertenza che la mancata costituzione nei termini implica le decadenze di cui all’art. 167 (possibilità di proporre domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, chiamare in causa i terzi) nonché l’impossibilità di contestare la competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 38.

Se trasponiamo quanto detto al giudizio d’appello, si comprende facilmente che gli avvertimenti concernenti le domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio non hanno molto senso in sede di impugnazione, in quanto le relative preclusioni sono già eventualmente maturate nel primo grado di giudizio.
Si potrebbe obiettare affermando che per “domanda riconvenzionale” è da intendersi l’appello incidentale. In realtà la decadenza concernente la possibilità di proporre l’appello incidentale è specificamente prevista dall’art. 343 c.p.c., non già dall’art. 167 c.p.c. Di conseguenza, per ritenere che il richiamo dell’art. 167 si traduca in avvertimento mirato alla decadenza dall'appello incidentale è necessaria una interpretazione estensiva della disposizione in parola.

Tra le due decadenze (quella “generale” prevista dal 167 e quella “specifica” dettata dal 343 c.p.c.), inoltre, c’è una differenza sostanziale qualora (ed è il caso più diffuso), l’atto di citazione in appello sia notificato al procuratore costituito in primo grado, soggetto che, a differenza della parte sprovvista di cognizioni processuali, già conosce gli obblighi e le facoltà inerenti la difesa in appello e non ha bisogno di essere reso edotto di alcunché.
Del resto, anche qualora si ammetta che l’avvertimento ex art. 167, terzo comma, n. 7 faccia parte del contenuto necessario della citazione di appello, la mancanza dell’avvertimento stesso in un atto che contenga, come nella specie, la esatta indicazione della data per la quale l'appellato è invitato a comparire, impone alla parte normalmente diligente di comparire a quell’udienza e, in quella sede, eventualmente dedurre la mancanza ed ottenere nuovo termine per espletare le proprie difese.

Per evitare, quindi, che una garanzia meramente formale (che non necessariamente tutela una condizione di pregiudizio al diritto di difesa) possa automaticamente determinare la nullità degli atti svolti in contumacia dell’appellato, è necessaria una rilettura antiformalistica del sistema. Pertanto, la parte che, in sede di legittimità, invochi la nullità per mancanza dell’avvertimento ex art. 163, terzo comma, n. 7 c.p.c., deve necessariamente provare in che modo tale omissione abbia impedito la conoscenza del processo e la costituzione in giudizio.

Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, 30 dicembre 2011, n. 30652

Svolgimento del processo
1) O. snc, oggi I.N.O. srl, agiva nel marzo 2000 nei confronti dell’ing. G. C., per conseguire il residuo prezzo della fornitura e installazione di impianti idrotermosanitari .
La domanda veniva respinta dal tribunale di Pordenone, che condannava l’attrice alla refusione delle spese in favore del convenuto costituito.
L’appello davanti alla Corte di Trieste si svolgeva in contumacia del C. e si concludeva con la riforma della sentenza di primo grado e la condanna del convenuto al pagamento della somma di euro 4.574,48 oltre accessori.
Avverso questa sentenza, resa il 1 luglio 2008, C. ha proposto due motivi di ricorso per cassazione.
I.N.O. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
2) Il ricorso espone due motivi.
Con il primo il C. denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 342 cpc, 163 c. 3 n.7 cpc, e 156, 164 c.1, e 159 cpc in relazione all'art 360 n. 4 cpc.
Con il secondo deduce violazione e falsa applicazione di legge, con riferimento agli artt. 342, 156 c.2, 164 c.2, 359, 177 e 327 cpc.
2.1) Il ricorso è imperniato sulla circostanza, oggettivamente risultante dagli atti, che l'atto di citazione di appello non conteneva l'indicazione di cui all'art. 163 n. 7 c.p.c., cioè l’ invito a costituirsi venti giorni prima dell'udienza e l’avvertimento “che la costituzione oltre detto termine importerà la decadenza dalla possibilità di proporre appello incidentale”.
La seconda censura, collegata alla prima, mira a far affermare che la carenza denunciata al primo motivo comportava la inammissibilità del gravame, trattandosi di nullità non sanabile ex tunc ai sensi dell’art. 164 c.p.c..
Questa ultima norma recita: “La citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell’art. 163, se manca l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento previsto dal n. 7) dell’art. 163”.
L'art. 359 c.p.c. dal canto suo reca: “Nei procedimenti d’appello davanti alla corte al tribunale si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale se non sono incompatibili con le disposizioni del presente capo.”
3) Il ricorso, come ha chiesto il procuratore generale in udienza, non merita accoglimento.
3.1) Giova rilevare in primo luogo che la tesi sostenuta con il secondo mezzo è sicuramente infondata.
A partire da Cass. 6820/02 (cfr. anche 13847/04, Cass. 970/07 e 4208/09, nonché 22024/09), si ritiene che qualora l’atto introduttivo del giudizio di appello non contenga l’avvertimento previsto dall’art. 163, 3° comma, n. 7, c.p.c., il giudice, in mancanza di costituzione dell’appellato, ove ravvisi la nullità, deve ordinarne la rinnovazione ai sensi dell’art. 164, 2° comma, c.p.c. (nel testo modificato dall'art. 9 1. 26 novembre 1990 n. 353), che è compatibile con la disciplina del procedimento di appello, con la conseguenza che, eseguita la notificazione dell’atto emendato, opera la sanatoria della nullità con effetto retroattivo (v. anche Cass. 13652/04, 1116/03) e che rimane esclusa l'ulteriore sanzione dell’inammissibilità.
Questa interpretazione è coerente con l’unanime insegnamento dottrinale, sorretto dalla considerazione che l'opportunità di modificare il testo originario dell'art. 164 è sorta proprio dalla non retroattività della sanatoria prevista dalla precedente formulazione , la quale causava sistematicamente che la regolarizzazione autorizzata dal giudice giungeva quando ormai si era avverata la decadenza dal termine per l impugnazione.
3.2) I precedenti ricordati (cfr. specificamente Cass. 970/07 e 4208/09) hanno evidenziato che nel giudizio di appello, l’avvertimento di cui all’ art . 163 , terzo comma, n. 7, cod. proc. civ. servirebbe a richiamare l’attenzione sulle conseguenze della costituzione tardiva, le quali consisterebbero nelle decadenze proprie del giudizio di gravame, in particolare con riferimento al diritto di proporre impugnazione incidentale e alla facoltà di riproporre le eccezioni disattese nonché le questioni non accolte o ritenute assorbite nel primo giudizio.
Di qui scaturirebbe la necessità di sanzionare la nullità dedotta in sede di legittimità dalla parte rimasta contumace in appello, cassando la sentenza impugnata, per consentire al giudice di rinvio di disporre la rinnovazione della citazione d’ appello.
4) Questa conclusione, riguardata sotto più profili, non convince.
Sin dal varo della novella del ‘90, in dottrina sono state sollevate serie obiezioni alla tesi secondo cui il rinvio contenuto nell’art. 359 c.p.c. alle norme dettate per il procedimento in primo grado davanti al tribunale - in quanto applicabili - comporti anche la necessità dell’avvertimento circa le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c.
Si è osservato che le decadenze relative alla competenza e al contenuto della comparsa di risposta (domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio) non hanno senso se riferite al giudizio di appello, fase in cui le relative preclusioni sono già maturate.
Inoltre l'eventuale decadenza dalla proposizione dell'appello incidentale è prevista dall’art. 343 c.p.c. (non dal 167) , di. talché è necessaria un’ interpretazione integrativa, e non semplicemente in termini di compatibilità, per poter ritenere che il richiamo normativo all'art. 167 si converta in un avvertimento mirato alla decadenza dall’appello incidentale.
4.1) Tra le due decadenze, allorquando l’appello venga notificato a una parte costituita in primo grado, v'è però una differenza di non poco conto, costituita dalla circostanza che non avrebbe senso l’avvertimento di cui all'art. 163, terzo comma, n. 7, cod. proc. civ. in un atto notificato al difensore costituito, cioè a un soggetto che deve essere a perfetta conoscenza degli obblighi e delle facoltà inerenti la difesa in appello.
La giurisprudenza di merito che ha escluso la nullità della citazione ex art. 164, 1° comma c.p.c. in conseguenza della sola mancanza dell’ 'avvertimento' ha avuto buon giuoco nel rilevare che quest'ultima figura è stata introdotta, secondo una lettura corrente, “allo scopo di favorire l'effettiva conoscenza, da parte del convenuto sprovvisto di cognizioni processuali , delle conseguenze negative che gli deriverebbero, in relazione al regime di preclusioni dettato per il nuovo rito, da una sua mancata o intempestiva costituzione in giudizio, ovvero di far comprendere al destinatario della citazione che, per evitare conseguenze pregiudizievoli, la sua difesa deve essere approntata ben prima della data dell'udienza indicata nella citazione medesima, cosi da ridurre il rischio, evidenziato anche in dottrina, che tale convenuto si rivolga al proprio difensore solo nell’imminenza dell'udienza anzidetta, ovvero quando non sarebbero più possibili le attività (come la proposizione delle domande riconvenzionali e la chiamata in causa di un terzo) di cui al secondo ed al terzo comma dell'art. 167 c.p.c.” (così Cass. 13652/04).
Questa esigenza non si rinviene allorché l’atto non giunge direttamente alla parte, ma al suo avvocato, il quale ha il dovere di esaminare gli atti notificatigli, per vagliare con il cliente le iniziative del caso (cfr Cass. n.12959/08 sulla notifica della sentenza impugnata; n. 2774/11 sui doveri del difensore anche se non domiciliatario).
5) Dall'applicazione pedissequa dell'art. 163 al giudizio di appello, deriverebbe quindi automaticamente un effetto radicale, cioè la nullità di tutti gli atti del giudizio svoltosi in contumacia dell’appellato, in relazione a una garanzia formalistica, che non sempre tutela una condizione di inferiorità determinata dall'omissione rimproverata all’appellante.
5.1) Giovano a questo punto tre ordini di considerazioni, concernenti:
a) la rilevanza dell'omissione in relazione alle facoltà difensive dell’appellato.
b) l’ammissibilità del ricorso per cassazione solo qualora si facciano valere vizi in procedendo dai quali scaturisce un pregiudizio alla difesa, che deve essere specificato in ricorso.
c) il disposto dell’art. 360 bis e le regole del giusto processo.
5.1.1) Quanto al primo aspetto giova evidenziare che, pur ove si ammetta che l’avvertimento relativo alle decadenze faccia parte del contenuto della citazione di appello, la mancanza dell’avvertimento stesso in un atto che contenga, come nella specie, la esatta indicazione della data per la quale l'appellato è invitato a comparire, impone alla parte normalmente diligente di comparire a quell’udienza.
In quella sede essa può far valere la carenza dell’avvertimento e chiedere, senza possibilità di diniego, nuovo termine per formulare le proprie complete difese, come sancito dall'espressa previsione del terzo comma dell'art. 164 c.p.c., che recita: “La costituzione del convenuto (p.c. 166) sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al secondo comma; tuttavia, se il convenuto deduce l'inosservanza dei termini a comparire o la mancanza dell'avvertimento previsto dal n. 7) dell'art. 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini.”
Non vi è quindi pregiudizio effettivo che discenda dall'emissione de qua.
Il limitato peso dell'errore commesso dall'appellante induce però, seguendo rilievi che da tempo la dottrina ha proposto, di considerare la incidenza delle disposizioni di cui agli artt. 157 c.2 e 294 c.p.c..
La prima. stabilisce che: “Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso.”
La seconda, che non risulta abrogata dalle riforme del codice di rito, consente al contumace che si costituisce di “chiedere al giudice istruttore di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, se dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile”.
E’ dovuta, in ossequio a queste norme, una ricostruzione antiformalistica del sistema delle nullità considerate dall'art. 164 c.1. Non può sfuggire la diversa caratura dei vizi della citazione che non consentono al convenuto di avere conoscenza del processo, rispetto a quelli che ostacolano l'ordinato dipanarsi del processo secondo le scansioni temporali fissate dal codice, ma non ne pregiudicano in alcun modo la possibilità di conoscerne la data di celebrazione della prima udienza.
Avuta tempestiva conoscenza del processo, la parte, nella prima difesa possibile, alla prima udienza, ha quindi il potere/dovere di costituirsi tempestivamente anche al solo fine di opporre la nullità dell'atto (164 c.1 in connessione con art. 157 c.2) e richiedere di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero state preclusa.
Qualora il convenuto - ritualmente informato del processo dalla citazione viziata solo ex art. 163 n.7 - resti contumace, non può, ove si costituisca successivamente, invocare questa tutela, giacché non è in grado di dimostrare che la nullità lamentata gli abbia impedito la conoscenza del processo e la costituzione in giudizio.
5.1.2) A maggior ragione queste considerazioni valgono ove si denunci in sede di legittimità che la nullità si sia verificata nel giudizio di appello.
Il carattere veniale del vizio lamentato lo fa ritenere irrilevante qualora, come nella specie, in sede di impugnazione la parte non sia in grado neppure di indicare quale tangibile pregiudizio al proprio diritto di difesa sia derivato dalla mancanza dell’avvertimento di cui al n. 7 art. 163.
E’ ormai insegnamento pacifico che: “In materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume che la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell'art. 360, n . 4 , cod. proc . civ. , non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata". (Cass. n. 6686/10; 4340/10; 9169/08; 4435/08; 16630/07; e anche SU 16898/06; Cass. 14040/08; 13662/04). Pertanto, ove il ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio subito, l'addotto “error in procedendo” non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata (Cass. 18635/11).
5.1.3) Alla luce del nuovo art. 360-bis c.p.c. n. 2 le considerazioni che precedono risultano rafforzate. Non è il caso di affrontare in questa sede il complesso dibattito circa la portata del filtro introdotto da questa norma. Può essere però considerato che se il legislatore ambiva a rimarcare in qualche modo la necessità che il vizio di legittimità in materia processuale assume consistenza decisiva solo se è innervato da violazioni riconducibili ai principi di cui al novellato art. 111 Cost. ipotesi come quella che ci occupa ne sono paradigmatico esempio, nonostante le perplessità dottrinali in materia.
Non può sfuggire infatti che, se connotata nei termini dianzi descritti, l’omissione, nell’atto di citazione di appello notificato al difensore dell’appellato costituito in primo grado, dell’avvertimento a comparire di cui al n. 7 art. 163 c.p.c. ben difficilmente può essere ricondotta a ipotesi di violazione processuale correlata ai principi del giusto processo.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso.
L’opinabilità della questione e soprattutto la linea di contrasto con precedente giurisprudenza di questa Corte consigliano la compensazione delle spese di lite.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della seconda sezione civile tenuta il 21 settembre 2011.
Depositato in cancelleria il 30 dicembre 2011.

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