21 febbraio 2012

Cassazione, 8 febbraio 2012, n. 4932 resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali: non c’è assorbimento


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4932, depositata l’8 febbraio 2012, rigettando il ricorso della difesa dell’imputato che sosteneva la tesi dell’assorbimento del reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) in quello di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), ha ribadito che quest’ultimo delitto assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse, e non già in quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali.

Pertanto, trasponendo tale principio al caso di specie, la Corte ha ritenuto configurabile il concorso dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali a carico dell’imputato, il quale si era opposto con pugni e calci agli agenti di Polizia che lo avevano caricato sull’autovettura di servizio per interrompere un litigio scoppiato tra lui e altro soggetto all’interno di una discoteca.

   Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, 8 febbraio 2012, n. 4932

Motivi della decisione
p.1. Con sentenza del 3 febbraio 2010 la Corte d’appello di Genova confermava la condanna inflitta a C.P. per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali lievissime, per essersi opposto con pugni e calci agli agenti della polizia di Stato che lo caricavano sull’autovettura di servizio per interrompere il litigio scoppiato tra lui e F.N. all’interno di un esercizio pubblico.
Contro detta sentenza ricorre l’imputato il quale denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Richiamate le dichiarazioni proprie e della coimputata Ca.Si. secondo cui egli sarebbe stato immotivatamente aggredito e sbattuto a terra dai poliziotti, sostiene: che mancherebbe la prova dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di resistenza; che sussisterebbe la scriminante di cui all’art. 4 d.lgs. lgt. n. 288/1944; che il reato di lesioni personali sarebbe assorbito in quello di resistenza; che la pena inflitta sarebbe eccessiva e dovrebbe essere mitigata con la concessione delle attenuanti generiche.
p.2. È principio pacifico che il sindacato di legittimità sulla motivazione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il controllo demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore che da rilievo solamente al testo del provvedimento impugnato, a riscontrare l’esistenza di un apparato argomentativo che giustifichi le ragioni della decisione senza incorrere in evidenti illogicità, restando quindi preclusa la possibilità di verificare la rispondenza delle cennate argomentazioni alle acquisizioni processuali. Essendo dunque esclusa da tale controllo l’interpretazione e la valutazione della prova, non è consentito chiedere al giudice di legittimità una rilettura degli atti e proporre una nuova ricostruzione del fatto.
Il ricorso in esame, ponendo al centro della prova le dichiarazioni dell’imputato e della sua convivente (nonché coimputata), pretende di offrire una ricostruzione della vicenda più credibile di quella prospettata dai giudici di merito sulla base delle testimonianze degli agenti della polizia di Stato e, pertanto giunge all’opposta conclusione dell’insussistenza del reato o, al più, della ricorrenza dell’esimente di cui all’art. 4 d.lgs. lgt. n. 288/1944. Per quanto appena detto sopra, gli enunciati motivi sono diversi da quelli consentiti dalla legge e quindi devono essere dichiarati inammissibili a norma dell’art. 606, comma 3, cod.proc.pen.
Il motivo con cui il ricorrente insiste sulla tesi dell’assorbimento del reato di lesioni personali in quello di resistenza a pubblico ufficiale è manifestamente infondato, perché quest’ultimo delitto assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse, e non già in quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali.
Infine, quanto alla pena inflitta, la sentenza impugnata ne ha giustificato il lieve discostamento dal minimo edittale con diniego delle attenuanti generiche, valutando, in consonanza con i criteri stabiliti dall’art. 133 cod.pen., la particolare gravità del fatto e la negativa personalità del reo, gravato da precedenti penali.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di Euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Depositata in Cancelleria il 8 febbraio 2012

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